Idea generale/General Idea

Questa è una storia della conoscenza e dell'umana avventura, giocata sul ritmo di Eterni Principi, come Infinito e Indefinito. Da Alfa a Omega in vari modi, con contributi aperti da parte di ricercatori, filosofi e artisti del sapere
 This is a story of knowledge and human adventure, played at the tune of Ethernal Principles, like Infine and Indefinite. From Alpha to Omega in various ways, with contributions welcome by researchers, philosopher and artists of human knowledge.

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Alfa

Roberto Radice

Nel convivio (o simposio), Platone... parla di


Omega

 

Marco Giammarchi

Incipit

Questa è una piccola storia del tutto e di tutti, una storia dell’umano e di quell’arte dell’umano che è la conoscenza, una storia scritta a due mani: da un filosofo e da un fisico. Una storia raccontata al ritmo di eterni princìpi, princìpi dell’uomo e del tutto. Princìpi come l’infinito e l’indefinito, resi evidenti nella cultura occidentale dai filosofi naturalisti Greci, dai tempi di Anassimandro. E per ascoltare la musica di questa grande e antica storia, per delinearne il progresso, useremo due punti di riferimento. Un Alfa ed un Omega.  

Useremo, per orientarci, il compasso della Conoscenza: dalla mitologia del mondo alle filosofie – orientale e occidentale. Useremo il mito, useremo la scienza. Parleremo dell’inconscio, parleremo di quegli eterni princìpi che presiedono all’arte dell’umano conoscere. E all’arte.

Chiameremo Alfa l’origine dei tempi, e ci faremo guidare in questo dalla Cosmologia Moderna. Ma Alfa sarà anche l’infanzia dell’umanità, sarà il Paleolitico con le sue mitologie e con l’origine dei princìpi eterni. In Occidente Alfa sarà anche il momento in cui Talete, Anassimandro ed Anassimene si volgeranno al Tutto senza il filtro del mito, oppure il momento in cui l’apollineo prevale sul dionisiaco. Alfa sarà, ed è lo stesso tempo, l’istante in cui il Buddha Shakyamuni tiene il Sermone di Benares. E Mahavira, ultimo Tirthamkara, ultimo dei traghettatori, insegna la via della liberazione dal ciclo delle esistenze reincarnate. Alfa è la prima sillaba del Rg Veda. L’Om.  

Chiameremo Omega il punto di osservazione di oggi, punto che è osservazione di un Cosmo dopo le Rivoluzioni Copernicane, rivoluzioni culminate nell’ultima: quella della scoperta dei pianeti extrasolari. Punto che, nella storia della Conoscenza, è anche indeterminazione quantistica, anche incompletezza matematica. Punto che è riflessione sulla distinzione soggetto-oggetto e sulla struttura dello spaziotempo da parte della relatività. Ma Omega è anche proposta, proposta di ripresa del senso degli eterni princìpi. Ripresa della mitologia, del mondo dell’inconscio e del sogno. Scorcio di visione unificata della conoscenza, del tutto e di noi stessi. 

Storia dell'uomo

Misurare il tempo, esigenza profondamente umana. Ma per farlo è necessario stabilire due cose: prima di tutto, un istante iniziale, di riferimento. Sarà il momento in cui facciamo partire un orologio. Ma poi anche una quantità di tempo fissata, convenzionale. L’unità di misura del tempo. Cominciamo con l’unità di misura.

L’alternarsi ciclico di eventi astronomici è il punto di riferimento principale per lo scorrere del tempo: l’alternarsi di giorno e di notte, il ciclo della luna. E più di tutto il ripetersi del moto del nostro pianeta attorno al Sole, a scandire il ciclo delle stagioni, della vita, del raccolto. Un anno, un giro completo, una ripetizione completa di tutte le stagioni. Questa la durata convenzionale, questa l’unità di misura che è apparsa naturale. Un giro del nostro pianeta intorno alla stella Sole. Un anno solare.

Ma per quanto riguarda l’istante di inizio? Da dove partire? Da dove iniziare a far scorrere la clessidra, il cronometro? Si necessita un momento, un accadimento, qualcosa di importante che ci faccia dire: partiamo da qui! Una possibilità è quella di partire da duemila anni fa, perché duemila anni sono trascorsi dalla comparsa di una importante manifestazione di valore teologico, quella di Yeshua - in italiano, Gesù. Un riformatore radicale della fede ebraica che visse e predicò nella Palestina. Di fatto noi non sappiamo poi molto di lui – sappiamo che predicò intensamente, sappiamo che scese a Gerusalemme per la Pasqua e che venne processato e condannato da un tribunale tradizionale ebraico. Sappiamo anche che i suoi seguaci ebbero, dopo la sua morte, la certezza di un evento talmente straordinario da avere la forza di cambiare la storia [1]. Come l’avrebbe cambiata, seicento anni dopo, l’esperienza mistica vissuta un venerdì da un pastore arabo di nome Muhammad. Considerato sigillo finale di tutte le rivelazioni. Sigillo dei Profeti occidentali. Trinità cristiana e al tempo stesso trinità monoteistica occidentale di Ebraismo, Cristianesimo e Islam.  

Chiamiamo teologia qualcosa di ben preciso: la storia di un rapporto, il rapporto tra l’uomo e il Divino. L’indagine razionale sulle verità ultime, di vita e di morte. Inevitabili punti di riferimento dell’umano. Che nasce, cresce, vive e muore. E che, attraverso una manifestazione (per l’appunto teologica), scandisce il ritmo del tempo. Perché è la natura umana. Perché noi siamo quello che siamo.  

Negli stessi tempi, in Oriente, i Rishi, i veggenti, vedevano i Veda. Erano i tempi in cui il misterioso popolo degli Arya scendeva nella verde valle dell’Indo. I tempi dei portatori di un culto e di una visione del mondo profondamente cosmica. E mitica. Si delineava così la visione dell’inizio del Tutto a partire dalla Prima Sillaba. L’Om. Si delineava la radice di quella tradizione che avrebbe portato alla filosofia dell’altra metà del mondo. L’India, altra metà della Grecia.

Dal tempo di Gesù, il pianeta ha effettuato duemila volte il giro completo attorno al Sole, stella centrale di un sistema collocato in una galassia a spirale. Questa stessa affermazione ha una storia perché prima di tutto vuole dire che l’uomo conta, ovvero rappresenta il numero. Usa l’arma del simbolo, per rappresentare. Duemila sono due migliaia, nessuna centinaia e nessuna unità: duemila, ovvero 2000, ovvero 2 x 103. La numerazione è in base dieci, con le unità, le decine e le centinaia. Poi le migliaia. Forse per via della conformazione della mano umana. Dieci dita. Duemila giri della Terra attorno al Sole.  

Il Sole, che è anche il Dio egizio Ra, che è anche Hunahpu, il Dio Maya mutilato, sacrificato, morto e risorto – il Dio della più tremenda dimensione sacrificale. Il Sole nella sua città di stelle, una delle tante città di stelle. L’Universo è composto da queste città formate da miliardi e miliardi di stelle: sono chiamate galassie. E attorno ad ogni stella, attorno ad ognuna dei miliardi di stelle della nostra galassia e di altre, possono ruotare pianeti. Attorno al Sole la Terra ruota, in un anno, ma a sua volta il Sole si muove, ruota attorno al centro della nostra Galassia. Ed attorno al centro della nostra Galassia (la Via Lattea), il Sole ruota – in 200 milioni di anni. Ricordiamolo: abbiamo definito una quantità di tempo, un anno. E un riferimento, un paletto nel tempo, la nascità di Gesù. Così noi contiamo la storia, l’astronomia e la vita.

La storia dell’Universo percorre quasi 14 miliardi di questi anni, di questo tempo, e la storia del pianeta dell’uomo, gli ultimi quattro miliardi. Un pianeta, il nostro, generato da un principio e da condizioni accidentali. Partite con la formazione del sistema solare, la famiglia di pianeti attorno al Sole.

Condizioni accidentali perché non necessarie: perché è stato così ma forse poteva anche non essere così. Non era necessario. Ma è stato. Questo è stato, ed ha avviato la storia dell’uomo sul pianeta.

Le condizioni accidentali della Terra si riferiscono, per lo meno, alla climatologia del pianeta, sia presente che passata, ed eventualmente al susseguirsi di uno o più eventi indefiniti che possono avere favorito l’evoluzione di una specie umana rispetto ad altre. Ad esempio l’impatto di un altro corpo celeste sul pianeta, forse un grosso meteorite in grado di concorrere alla distruzione selettiva di altre specie viventi. Eliminare dinosauri per far spazio a mammiferi? E’ possibile. Anzi, plausibile.

Il conteggio di questo tempo ha imposto un principio. E da questo principio è possibile riprendere il filo del passato per tornare indietro, ripercorrendolo con i testi della mitologia e della spiritualità del mondo. I miti della creazione sono a loro volta creazioni. Sono i linguaggi dello spirito dell’umano. I linguaggi con i quali l’uomo finito si confronta con l’infinito.

Ma l’uomo ha concepito non solo nella dimensione mistico-mitologica. Non solo attraverso l’ausilio dei miti e della conoscenza della Terra. Ha concepito un passato che va più indietro di quello del suo pianeta, molto più indietro dei 4 miliardi di anni della storia geologica… fino a spingersi ai 14 miliardi della storia di tutte le stelle e di tutti i pianeti. La storia dell’Universo tutto. Dato un pensiero grande, teorizzava Aristotele, ne è sempre possibile uno più grande – il mistero indefinito della infinita capacità di comprensione dell’uomo. Infinita, come la dimensione socratica della sua ignoranza.  

Ma possiamo capirla, questa storia, con il tempo? Vedremo che si, che possiamo capirne degli aspetti importanti, forse essenziali, ed utilizzando lo strumento di un tempo cosmico. Che potremo anche capire l’inizio dell’Universo, fin dentro (forse) il primo secondo della Creazione.

Questo tempo ha il significato che abbiamo illustrato per il nostro sistema solare, e per molti altri, e per la Galassia. Il tempo determina il cambiamento – o forse è generato esso stesso dal cambiamento. Sul nostro pianeta, sulla nostra galassia. E anche per le galassie più vicine a noi. Ma… il tempo cambia di senso per l’Universo lontano, a distanza cosmologica pressochè infinita, laddove diviene impossibile definire un tempo assoluto. E dal momento che appare impossibile definire un tempo assoluto (un presente, un passato, un futuro) che valga per tutto l’Universo, il tempo è un principio che nell’infinito diviene indefinito. Questo modo di vedere all’Universo, si chiama “Universo blocco” e ci ritorneremo.

Abbiamo considerato che la storia del pianeta ha portato alla evoluzione di specie viventi, tra le quali la specie uomo – avente tra le altre caratteristiche il porsi il problema dell’essere. O dell’esserci – essere nel mondo. Il “da sein”, essere in. Essere nel pianeta, ed essere ponendosi il problema dell’essere. Nel sistema solare. Nella Galassia. Nell’Universo. Essere come uomini.

La conoscenza del pianeta sul quale ci troviamo ha una storia antica. Gli Antichi della cultura occidentale del pianeta aprirono questa prospettiva: tra essi, gli Alessandrini, Eratostene, Ipparco, Aristarco. Dobbiamo a quest’ultimo la prima ipotesi non geo-centrica dell’Universo. Dobbiamo invece all’astronomia del Duemila la scoperta dei pianeti extra-solari, i pianeti che ruotano attorno ad altri Soli. Ruotano parlando il linguaggio della gravitazione.

/httpsuniversalknowledgeitroberto1Questa è una osservazione critica spietata di Roberto

Il linguaggio della gravitazione

E’ grande merito di una filosofia recente avere messo l’accento sull’importanza del linguaggio – e anche sulla sua ambiguità e ricchezza. Possiamo forse oggi dire che un linguaggio è una teoria sul mondo (e su di noi), un modo di rappresentarlo che è legato anche al contenuto ontologico di ciò di cui parliamo.  

Così nel passare dalla gravitazione Newtoniana alla nuova teoria della gravitazione, la Relatività Generale, cambiamo sia la descrizione formale del mondo che il linguaggio che adoperiamo.  

La gravitazione secondo Newton è basata sul principio di azione nel vuoto a distanza. Quella Newtoniana è quindi una forza si propaga a velocità infinita… e spostare (come per magia) la posizione di un pianeta nel sistema solare darebbe luogo istantaneamente a una ripercussione a distanza di miliardi di anni luce nell’Universo.  

La gravitazione secondo Einstein è invece basata sul principio della curvatura di spazio e tempo. Se noi spostiamo un pianeta nel sistema solare, stiamo cambiando la curvatura spaziotemporale e tale cambiamento si propagherà attraverso l’Universo (in forma di onda gravitazionale), giungendo un miliardo di anni dopo ad avere una influenza su qualcosa che si trovi a un miliardo di anni luce di distanza. Abbiamo cambiato il linguaggio.  

Al di là del fatto che la Relatività Generale si possa considerare più efficace della vecchia teoria di Newton (in effetti, lo è), qui si concentriamo sul cambiamento di principio. Un altro principio porta in un’altra direzione e sembra addirittura descrivere fatti tra loro diversi. Per questo motivo, ad esempio, occorre prudenza nel chiamare principio una parte del percorso della scienza. Perché la scienza è duttile in questo aspetto, disponibile a modificare ed abbandonare. Infatti, alla fine il principio più profondo della scienza è solo la ricerca della verità. Solo quello.

I nuovi linguaggi aprono orizzonti nuovi, ed infatti dobbiamo alla conoscenza astrofisica – che è basata sulla Relatività Generale – la possibilità di studiare il cosmo. Di studiare la nostra galassia, di studiare altre galassie. La possibilità di studiare pianeti, e non più solo i pianeti del nostro paesino. Il nostro sistema solare, un paesino grande dieci miliardi di kilometri, ma pur sempre piccolo rispetto alla nostra galassia.

Altri pianeti, che ruotano attorno ad altri soli, con la speranza di studiare le loro atmosfere, di ipotizzare le forme della vita che ospitano. Ed anche questo spazio concettuale fu aperto dagli Antichi, da Democrito, da Epicuro. Il nostro Universo appare – come di fatto fu chiamato – un Mondo di Mondi [3].  

Non sappiamo come siano le forme di vita che – con tutta probabilità – abitano gli altri pianeti. E’ difficile pensare di comunicare con loro, visto che nel caso migliore un nostro saluto riceverebbe risposta non prima di otto anni. Questo “caso migliore”, è il mondo possibile in cui abbiamo capito che la velocità massima di propagazione di qualsiasi cosa non supera quella della luce nel vuoto. E questo è il caso “migliore” della stella più vicina, Alfa del Centauro, a quattro anni luce di distanza.  

Fig. 1. Ritratto di Luca Pacioli.

Il personaggio sulla destra potrebbe essere Copernico

Le rivoluzioni copernicane

I grandi cambiamenti, i nuovi punti di vista. Li abbiamo battezzati con il nome di Niccolò Copernico, vissuto a cavallo tra il ‘400 e il ‘500. Copernico riprese con vigore l’ispirazione alessandrina di Aristarco da Samo, proponendo (e pubblicando appena postumo) il sistema eliocentrico. Questa rivoluzione viene prima completata dal punto di vista filosofico da Galileo Galilei: i suoi studi dimostratono che i cieli mutavano. Che non erano iper-uranio metafisico, bensì corpi materiali soggetti al divenire. Alla corruzione.  

Questa rivoluzione venne completata dal lavoro di Newton: una stessa teoria per spiegare la Terra e i Cieli. Non più i due mondi della visione aristotelica: quello corruttibile e dei moti “rettilinei” sulla terra e quello incorruttibile e dei moti “circolari” nei cieli. Anche questo un cambiamento di linguaggio.  

E fu un altro, grande, cambiamento di linguaggio quando Immanuel Kant usò la dicitura “rivoluzione copernicana” per parlare del modo in cui organizziamo al nostro interno l’esperienza sensibile.

Un’altra Rivoluzione Copernicana avviene all’inizio del ‘900, quando si comprese che il nostro sistema solare faceva parte di una galassia. Di una grande città di stelle. Nasceva l’universo delle galassie, di altre città di stelle oltre alla nostra. E fu solo nel 1933 che si notò l’allontanamento di tutte le galassie tra di loro, il grande Movimento del Cosmo. L’espansione dell’Universo.    

La storia delle rivoluzioni copernicane è storia di conoscenza, conoscenza del mondo e di noi stessi. E’ una storia antica e nuova, iniziata nel momento stesso in cui l’umano ha volto lo sguardo alla maggiore delle grandezze: il cielo.  

Ma perché il cielo? Come mail il riferimento all’immenso? Perché il cielo ha lo stesso fascino della montagna. O del mare di notte. L’oceano travalica i confini spaziali e temporali dell’uomo come singolo: e comtemplarlo permette di accostarsi a una dimensione temporale superiore. Il mare ci sarà ancora – e per molto – dopo la scomparsa di noi uomini singoli. Contemplarlo ci permette di passare dall’infinito spaziale all’infinito temporale.

E naturalmente il Cielo è il più grande di tutto: è quello che, anche tenicamente, puo’ essere infinito. E’ il cielo delle rivoluzioni copernicane, come quella più recente. Come la scoperta dei pianeti extrasolari. Scoprire che attorno ad altre stelle, attorno ad altri soli, ci sono pianeti. A migliaia, probabilmente a miliardi.  

Viviamo su un pianeta che fa parte di un sistema solare (stellare). Come ce ne sono miliardi nella nostra galassia. Che è una galassia tra miliardi di altre galassie. Infinito. Indefinito.

 


L'inizio della storia. E del tempo.

Esiste una certa dose di arbitrarietà nella definizione dell’istante da cui contiamo il tempo. Avremmo potuto iniziare a contarlo 753 anni prima, ovvero dal momento della fondazione di Roma. (In realtà probabilmente questi anni sono 749 e non 753, perchè che Gesù si trova nell’imbarazzante condizione di essere nato nel 4 avanti Cristo). Oppure avremmo potuto contarlo dal momento dell’Egira di Muhammad, 622 anni dopo. O anche, si poteva scegliere venerdì 18 febbraio del 3102 a.C., data di inizio del Kali Yuga.  

Queste differenti scelte, per quanto umanamente significative, alla fine non sono decisive: più che il tempo in assoluto, conta il suo scorrere. Il suo procedere dal passato al futuro. In modo lineare in Occidente. In senso circolare in Oriente.

E’ naturale la tentazione di far partire l’inizio del tempo dall’incipit dell’espansione cosmologica. Questo però avrebbe due svantaggi. Prima di tutto collocherebbe il momento iniziale in un tempo remoto, estremamente remoto. Molto distante dalla dimensione umana.

Secondo, fare partire il tempo così lontano nel passato vuole dire confrontarsi con gli effetti cosmologici e gravitazionali. Vuol dire stare attenti all’orologio che utilizziamo, che deve essere un orologio solidale con l’espansione. Lo possiamo pensare come un orologio che, a partire da 380 mila anni di vita universale, vede isotropa la radiazione cosmica di fondo. Isotropa, ovvero uguale in tutte le direzioni.

Ne riparleremo, ma è troppo complicato. E troppo poco umano. Preferiamo partire da un riferimento “zero”, da un punto di partenza che abbia un valore umano significativo. La convenzionale nascita di Gesù come anno “zero” va bene. La data di un avvenimento umano. Troppo umano.

Limiti dell'Universo

L’Universo appare indefinito nel suo essere infinito. Perché così sono i suoi bordi, non ben definiti al nostro sapere. O non ben definiti per principio… per capirlo, prendiamo in considerazione l’evento astronomico chiamato GW190521 (Gravitational Wave osservato il 21 maggio 2019). Si tratta di un clamoroso “fuoco d’artificio”, un botto cosmico rivelato dai tre interferometri gravitazionali LIGO-Hanford, LIGO-Livingstone e Virgo: una coalescenza di due “oggetti” compatti, due buchi neri con una massa totale di 150 volte quella del Sole. Per comprendere da che distanza viene questo “botto”, immaginiamo di poter congelare l’espansione dell’Universo: la distanza da cui GW190521 è partita è allora di 16 miliardi di anni luce (viene chiamata “luminosity distance”). Ma dalla sua partenza al suo arrivo è passato tanto, tantissimo tempo. E il sistema dei due buchi neri che ha prodotto GW190521 “ora” (fermiamo di nuovo il movimento del cosmo!) si trova circa a 45 miliardi di anni luce. Ora quel sistema non è più “raggiungibile” da nessun segnale inviato da umani. Esso si trova in una regione dell’essere che non è più osservabile.  

Tutto questo è l’effetto dell’espansione dell’Universo, la chiave di interpretazione Cosmologica del tutto spaziale in cui viviamo. Con il tempo mescolato in modo indissolubile con lo spazio. Chi ha prodotto l’esplosione GW190521 è fuori dal nostro Universo osservabile. Ma ne conosciamo l’esistenza.

E siccome la regione dell’essere si estende ben oltre il limite dell’Universo, abbiamo un moderno indefinito. Un indefinito che si impone, quello dovuto a sistemi che hanno inviato segnali a noi ma che ora non sono più contattabili a causa dell’espansione cosmologica. Nei fatti essi si trovano a distanza infinita. La loro appartenenza all’essere si ha in forma a noi indefinita.

L’espansione cosmologica ci mette a confronto diretto con la differenza tra ciò che è osservabile e ciò che è (nel senso di ciò che possiede la proprietà di esistere). Da un lato i protagonisti di GW190521 non sono più osservabili da noi – quindi, se non avessero colliso, nulla sapremmo della loro esistenza. Dall’altro lato, difficilmente si puo’ pensare che essi non abbiano la proprietà di esistere. Un immenso buco nero con una massa totale vicina a 150 masse solari è situato in una regione dell’essere che non è osservabile – ma assai probabilmente non ha per questo cessato di esistere. Indefinito, a distanza che – per tutti gli effetti fenomenologici futuri è da considerarsi infinita.

Un altro limite dell’Universo (come osservabile) si realizza nella vicinanza a singolarità spazio-temporali (buchi neri), laddove la curvatura di spaziotempo diviene infinita. E quindi occorre considerare la singolarità come non-osservabile, al di fuori dal nostro Universo. E d’altra parte non ci risulta osservabile qualsiasi regione che stia all’interno dell’orizzonte degli eventi (per il Buco Nero di Schwarzschild, il più semplice, con orizzonte 2MG/c2 ove G è la costante di gravitazione universale, c la velocità della luce e M la massa del buco nero). Ma notiamo bene che tale singolarità (non osservabile) esercita influenza finita pur essendo in una zona dove spazio e tempo sono – per noi – inosservabili. Una zona di principio non osservabile. Indefinita, che raccoglie un punto a curvatura infinita.

La teoria dell’Universo-blocco offre una interessante e coerente soluzione al problema dell’essere, prevedendo un Universo che sia attraversabile passando tra spazio e tempo, e rispettando la legge di causalità (velocità della luce). Percorrendo sia spazio che tempo, si possono esplorare diverse zone dell’Universo. Per comprendere meglio la teoria dell’Universo-blocco, consideriamo due osservatori, A (situato sulla Terra) e B (situato su una galassia a 150 milioni di anni luce dalla Terra). A osserva l’epidemia di Covid sulla Terra (perché è solidale col pianeta), mentre B osserva i dinosauri sulla Terra. Ma le osservazioni di A e B sono entrambe valide – per B i dinosauri sono simultanei a lui, in quanto la simultaneità in Relatività equivale a essere connessi da un fotone. Ma un osservatore “esterno all’Universo”, ovvero un osservatore “epistemologico”, come un filosofo, puo’ giudicare tutto ciò che accade e “descriverlo” proprio come stiamo facendo noi. Il nostro amico filosofo si rende conto di cosa vedono A e B. E li confronta tra di loro usando le leggi relativistiche di trasformazione. Questo nostro filosofo “esterno” all’Universo si rende conto benissimo che l’adesso di A e di B sono diversi: non esiste un solo unico istante simultaneo all’Universo.

 


Fig. 2. La conoscenza dell'Universo

In alto, l’Universo come lo conoscevamo all’inizio del secolo scorso. In basso, la dimensione dell’Universo dalla quale sappiamo ci sono giunti segnali, a partire dall’inizio del tempo.

Le unità di misura naturali

Abbiamo parlato di misurare il tempo, di scandire il passaggio di anni, di secoli. Dei millenni della storia umana. La scelta del tempo di rivoluzione della Terra attorno al Sole ci è apparsa chiara. Un anno, e lo dividiamo anche, in giorni, in ore e in secondi. Ma l’umanità misura anche altre cose, come lunghezze, come pesi. Usiamo il metro, il kilogrammo. A volte ne parliamo insieme: metro, kilogrammo, secondo.  

In realtà puo’ essere interessante riconoscere che queste unità di misura sono umane. Si puo’ facilmente comprenderlo: un metro è quasi l’altezza delle persone, un kilogrammo il peso di due pacchetti di pasta. E un secondo è… il secondo di quando diciamo a un amico “aspetta un secondo”. Un attimo.

Ma uno sguardo al cosmo ci porta subito a pensare ad altre unità di misura. Ad altre grandezze, per coprire la vastità e la piccolezza di orizzonti che sul nostro pianeta non sempre apprezziamo. Riflettiamo allora, ancora un attimo, sull’Universo.  

Nell’Universo esistono forze che agiscono su distanze molto grandi, come la forza di gravitazione G. Ma esiste anche una velocità che pare insuperabile: la velocità della luce nel vuoto c. Infine vi è l’infinitamente piccolo – quello a cui non pensiamo quando guardiamo tutto l’Universo. Eppure tutto vi dipende in modo inestricabile, perché la storia di tutto è legata indissolubilmente all’infinitamente piccolo. Alla meccanica quantistica. E quindi alla costante di Planck h, che ci dice come l’Universo forma delle strutture, delle “cose”. Degli atomi, delle molecole e dei pianeti. Delle stelle.

Caratteristiche della prakrti (la natura) sono infatti i tre guna: la staticità, l’inerzia, la pesantezza, tamas. Il ritmo, la velocità, il cambiamento, rajas. Ed infine l’equilibrio, sattva. E sembra quasi che questa antica ispirazione della filosofia orientale Shamkya stia a suggerirci che tamas indica la gravitazione universale, rajas la velocità della luce e sattva la stabilità dell’equilibrio degli atomi indicata dalla costante di Planck.

Con G, c, h potremmo costruire un nuovo “sistema” di unità di misura, un sistema costruito a partire dalle caratteristiche dell’Universo stesso. Perché il valore di queste tre costanti determina l’intera struttura materiale di tutto. E forse non solo.


Storia dell'Universo

Nell’Omega di oggi, le conoscenze si confrontano, almeno a livello di analogie. La fisica descrive lo sviluppo dei campi quantistici attraverso la loro dinamica per una estensione temporale di 14 miliardi di anni. Svolgentesi nello spaziotempo descritto dalla relatività generale. In analogia, l’antica yajna, scienza del Sacrificio Vedico, descrive la frattura che dall’Uno ha generato il Molteplice. E’ una frattura che dall’indefinito ha generato l’infinito. E’ un immenso sacrificio che si è svolto – e che si svolte – attraverso gli eoni. Sacrificio che brucia tutta la materia in radiazione. Ma Sacrificio con residuo: e quel redisuo di fuoco è la vita.

La conoscenza del primo secondo dell’Universo ci porta nell’indefinito. Questo Alfa è indefinito perché, entro il primo 10-43 s di vita la fisica quantistica e la gravitazione devono essere usate insieme, in armonia. Sono inscindibili perché ci troviamo sia entro la lunghezza d’onda Compton dell’indeterminazione quantistica che entro il raggio di Schwarzschild dell’orizzonte spaziotemporale. E questa strada porta all’indefinito. Indefinita è la struttura dello spaziotempo quando il suo stesso tessuto è soggetto al Principio di Indeterminazione di Heisenberg.

L’indefinito di Anassimandro… un indefinito iniziale di energia che poi si sviluppa in un confronto tra opposti, diviene ad esempio equilibrio di radiazione e materia nel Cosmo primordiale. Un fotone primordiale si trasforma in un elettrone (carica negativa) e un positrone (carica positiva). L’indefinito si manifesta in questa opposizione – e spesso la riassorbe, trasformando di nuovo la coppia elettrone-positrone in fotoni. Laddove un fotone, senza carica elettrica, si trasforma in un elettrone negativo e in un positrone positivo. Che poi vengono riassorbiti in fotoni.  

Quando l’Universo ha 380 mila anni di tempo cosmico, nasce la sua prima Alba. Si accende la luce della ricombinazione di protoni ed elettroni, il che corrisponde al sorgere dappertutto della Radiazione Cosmica di Fondo. La luce attraversa tutto lo spazio e tutto il tempo. In questo punto di equilibrio tra Alfa e Omega nasce la materia, nascono gli atomi. E l’eco di questa nascita è ancora con noi, nella temperatura del cosmo. Sono 2.7 gradi Kelvin al di sopra dello Zero Assoluto: l’eco della nascita del’atomo.

Le stelle nascono quando l’Universo ha centinaia di milioni di anni. Agglomerati di materia, di gas, di polvere si concentrano per formare le nuove fornaci del cosmo. Per irradiarlo di una nuova luce. Un nuovo fuoco sacrificale viene acceso dall’Advaryu, l’officiatore cosmico del sacrificio Vedico: è il fuoco della fusione termonucleare, quello che accende tutti i soli.

Il nostro pianeta viene tardi, formato quando l’Universo ha quasi dieci miliardi di anni, insieme a tutto il sistema della nostra stella. Ed insieme a tanti altri pianeti intorno alle altre stelle. Su questo piccolo pianeta, nasce la nostra storia.  

Una storia, lunga, la storia di un indefinito da cui l’Universo prende le mosse per diventare infinito. L’Alfa come Big Bang, genera in seguito la Radiazione di Fondo e, forma le stelle, forma le galassie, forma i pianeti. E forma l’uomo, e l’inconscio e la magia con cui l’uomo vede il Cielo. La sua vera origine.  

 


Eterni Princìpi

Eterni Principi hanno spinto l’uomo nella sua navigazione nell’essere. Lo hanno influenzato e ne sono stati influenzati. Le teologie e le energie cosmiche percepite, nel conscio e nell’inconscio, hanno permesso lo sviluppo delle mitologie nel tempo. E la nascita della filosofia. Le strade dell’inifnito si sono incrociate con quelle umane tramite l’astrale. E le strade dell’indefinito tramite il pensiero.  

La strada dell’inconscio, del magico, dello psichico e del mistico è corsa parallela a quella della filosofia, della ragione e della speculazione. Fino al loro incontro. L’incontro degli studi mitologici e della psiche con le conoscenze scientifiche e filosofiche. La nascita della scienza, del suo sapere e del suo rapporto con il sapere.  

Nell’Alfa dell’umano sulla Terra fioriscono le mitologie – mitologie come connessione dell’umano col Cosmico – con le rappresentazioni e con le energie psichiche. Mitologiche sono molte delle rappresentazioni di 20,000 anni fa nelle grotte profonde, con chiari riferimenti a culti di tipo sciamanico. La ricerca umana di sintonia con le energie del cosmo. Sintonia che viene intuita nella dimensione rituale, come testimoniato dalle figure ritrovate nei disegni rupestri di Lascaux e delle altre grandi grotte. Disegni che in molti casi mostravano scene di figure umane vestite in abiti rituali. Ma anche, una ricerca che attraversa le energie femminili della maternità, con la miriade di ritrovamenti di statuette femminili rappresentanti la gravidanza. Maternità come culto della creazione ed origine dell’umano.  

Ed è questo il percorso che si spezza, che si interrompe di fronte a un evento fortemente critico, un evento decisivo nella storia dell’umano: la nascita della Filosofia Occidentale in Grecia.

Prima di tutto, con la nascita della Filosofia, la ricerca di Eterni Principi, diventa definizione degli stessi, acquisisce coscienza di sé. Ed in secondo luogo, la Filosofia si pone di fronte alla realtà a prescindere dal mito: esegue una grande scissione della conoscenza e del sapere. Sceglie il suo lato apollineo, e ne dimentica il dionisiaco.  

La Filosofia dei Greci diviene visione primariamente razionale, visione di armonia e di compostezza. In tal senso, viene ad aprirsi lo spazio concettuale nel quale nasce tutta la civiltà dell’Occidente. In parte dimenticando, mettendo in secondo piano l’irrazionale, lo spirituale. Il mistico. Ma sintetizzando le teologie occidentali con la visione aristotelica.

La storia di Occidente è storia di religioni. E di spiritualità forti, prorompenti, provenienti dal nucleo giudaico. La tensione, fortissima, con la quale un gruppo di uomini palestinesi ritenne di aver visto un uomo risorto: e fu talmente forte da cambiare il corso della storia. La tensione, altrettanto potente, con la quale un pastore arabo ritenne di avere avuto un’illuminazione divina. Anch’essa cambiò – e di nuovo – il corso della storia. Fecero dell’Occidente la civiltà delle grandi religioni monoteistiche.

Fu la Scolastica il movimento del pensiero che cercò la sintesi, la crasi tra Aristotele e il Cristianesimo, culminata nella sintesi tommasea del ‘200. Sintesi di equilibrio di fede e ragione, con la seconda asservita alla prima. Ma pur sempre sintesi.  

Ed è su questo equilibrio, e su questo scontro, tra spiritualità (in senso di fede) e ragione, che si gioca molta dell’evoluzione del pensiero moderno. Ma da questa evoluzione molta della spiritualità resta fuori. Lo gnosticismo, la mistica profonda, il sufismo nell’Islam e tanti altri aspetti dell’esoterismo apocrifo.  

Ma il mistico rimane, lungo i secoli, in occidente e nel mondo arabo. Percorre il territorio del sogno e dell’inconscio, percorre le strade della magia e dell’ignoto. Rimane nel profondo, nel sotterraneo. Rimane nei canti e nelle evocazioni religiose, rimane nelle esperienze degli eremiti. Rimane nella ricerca alchemica e rimane nella letteratura e nella musica. Riemerge nella stessa filosofia, che con Nietzsche diverrà consapevole della frattura originaria tra l’apollineo e il dionisiaco.

La Filosofia prosegue la sua strada di conoscenza e da origine alla Scienza, alla pretesa maggiore di controllo che l’umano abbia mai formulato. La origina e da essa, nel contempo si separa. Ma la scienza fornirà alla filosofia strumenti tra i più preziosi: sono anche gli strumenti di cui stiamo parlando.

Infine sarà la scienza stessa a recuperare l’inconscio, tramite la strada della psicoanalisi. Freud, Jung e altri sapienti hanno recuperato per noi il mondo dei sogni e dell’inconscio – che è anche mondo di simboli e di archetipi. Si tratta della cura di una frattura; si tratta del ripristinare un contatto con l’interiorità, un recupero partito per ragioni terapeutiche. Ma che poi ha aperto una prospettiva nuova su tutto il nostro modo di agire. E di essere uomini.  

E a sua volta questa rivoluzione scientifica di scoperta dell’inconscio apre la strada per il recupero simbolico della mitologia più antica. Fu Hillmann, infatti, a riprendere il mondo degli Dei Greci, rivisitandolo in chiave psicologica, con la creazione di quella che oggi si tende giustamente a chiamare psicologia archetipica.  

Ma non è solo questo, è ancora di più. E’ ancora lo studio del mondo dell’inconscio a restituire valore – anche valore che chiameremmo “scientifico” – all’aspetto teologico della ricerca umana. Porsi di fronte alla vita e alla morte come elemento culturale, anche se mistico. E come elemento di confronto archetipale con l’inconscio. Ma, in ultima analisi, come elemento del razionale. Il considerare la teologia come scienza. Come cono-scenza. Teologia come scienza escatologica – ovvero come studio del confrontarsi con le realtà ultime. Con la morte.

Le conoscenze Occidentali del mondo così convergono – pur se con diversi criteri di verità – a visioni tra loro compatibili. O almeno, confrontabili e ricche di analogie. Un Omega dove si concepisce una unione, una visione complessiva potente e variegata dell’essere.

La conoscenza Vedica

La prima sillaba del RgVeda, l’Om, segna un punto di rottura e di conoscenza forse senza precedenti. Osservati, intuiti, “visti” dai Rishi (i Veggenti), i Veda rappresentano un essere ed una conoscenza del Tutto e dell’Uno allo stesso tempo. Tutto e Uno, che poi saranno chiamati nella cultura Induista Brahaman e Atman, rispettivamente. La loro stessa esistenza è una sfida, una sfida del sacro, perché nella conoscenza Vedica tutto è sacro. E tutto si percorre con il rituale della vita.

Ma cosa sono, in realtà, i Veda? Come se ne puo’ parlare in un ambito (per forza) razionale come quello di un testo? Come si puo’ discuterne prescindendo dal fattore chiave dell’esperienza? L’unica, su questo piano, è trattenere per quanto possibile la razionalità – cercare di intuire più che conoscere analiticamente. Respirare l’aria di una visione cosmica senza pretendere di incasellarla.

I Veda, scritti in sanscrito assai posteriormente alla loro diffusione, sono un’antichissima raccolta di testi riguardanti primariamente una lunga serie di inni sacrificali [4]. La loro apparizione sulla scena del mondo appare correlata a un potente evento storico e mitologico: l’arrivo delle popolazioni degli Arii nella Valle dell’Indo, la “terra dei sette fiumi”. L’unione di due culture, l’inizio dell’Epica più grande del mondo, la Mahabharata.

Questa gloriosa nascita ha donato al mondo il concetto di una sacralità del tutto. Questa gloriosa nascita è stata la morte e decomposizione del Progenitore, il Dio che dona il soma – la bevanda sacra. E la sacralità del rituale, il rituale del Sacrificio Vedico. E attraverso i testi successivi, i Brahamana e infine le Upanishad questa nascita va a definire l’altra grande filosofia del mondo.  

La rappresentazione rituale del Sacrificio Vedico definisce un autentico universo simbolico. Nato con scopo di ingraziarsi le divinità attraverso offerte rituali, esso è, in ultima analisi è il sacrificio per ricomporre una frattura. La frattura primaria, quella più essenziale di tutte: la frattura che dall’Uno ha generato il Molteplice.

L’Omega diviene allora il mondo dove si concepisce una unione, o meglio una analogia costruita al ritmo degli Eterni Principi. Analogia di Occidente ed unione di Oriente.  

Eterni Principi tra l'Occidente e i Veda

Vicino all’era dell’Alfa dell’umano, le mitologie di Oriente ed Occidente creano delle Teologie, dei modi di interrogarsi sulle realtà ultime. Le creano attingendo all’immenso bagaglio mitologico che va dalla Mesopotamia alla Persia all’India stessa. Dai monoteismi occidentali, al monoteismo Zoroastriano, al mondo Vedico, abbiamo un complesso paesaggio dello spirito. Un paesaggio di diversità e somiglianza [5].  

Ai tempi in cui Mosè guidava gli Ebrei fuori dall’Egitto, i Rishi forse vedevano i Veda. Ai tempi in cui il popolo di Israele era in esilio in Babilonia, il Tao veniva concepito nella Cina. Ma gli Eterni Principi ricorrono in tutte e due, da Oriente a Occidente, da Zoroastro a Muhammad. Perché così come è pre-scritto che tutto sia sacro nel mondo Vedico. E così nella Genesi vediamo scritto: E tu sarai sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec.  

Analogie e diversità, a partire dal misterioso crogiolo primordiale dell’energia sciamanica e della mitologia. Con l’arrivo della filosofia greca, i due mondi si differenziano. L’indefinito si concretizza, la simmetria si rompe. I monoteismi a Occidente e la filosofia razionale greca. I panteismi a Oriente, con una filosofia intrinsecamente mitologica e religiosa. Con il misticismo occidentale ridotto alla clandestinità dello sfondo e con il trionfo dell’irrazionale in Asia.  

Ma sarebbe sbagliato evidenziare solo queste differenze. Sarebbe sbagliato dimenticarsi della solida e antica saggezza del Confucianesimo, in tanti aspetti simile a una filosofia razionale della prassi. E sarebbe sbagliato dimenticare le analogie e le influenze reciproche, tra Spinoza e Schopenhauer – quest’ultimo inventore della azzeccatissima espressione “il velo di maya” che tanto in profondità coglie la criticità del rapporto orientale tra il Tutto e le sue manifestazioni esteriori.  

Queste le carte in gioco, almeno all’inizio, almeno vicino all’Alfa. Le carte di definizione del grande indefinito dell’umano. Che, nel cosmo infinito, dipinge i tratti della sua storia. Del suo essere.  

E al rituale dell’essere siamo chiamati tutti. 

Paradigma scientifico riduzionista 

ILa conoscenza che viene chiamata scientifica irrompe sulla scena occidentale nel corso del diciassettesimo secolo. E come tutte le grandi rivelazioni, cambia il corso della storia. Molti hanno dato diverse definizioni del metodo scientifico galileiano: dalle “sensate esperienze” alle “necessarie dimostrazioni” esso sta a rappresentare l’idea di studio razionale e (per quanto possibile) quantitativo del mondo. Con parole moderne questo rapporto tra esperienza e dimostrazione è l’accordo tra la teoria fisica e l’esperimento eseguito in laboratorio.  

Il criterio scientifico di verità poggia molto su questo accordo – e sul concetto di ripetizione controllata di un esperimento, nei limiti nei quali questo è possibile.  Vi sono infatti due limiti fenomenologici da tenere in considerazione, la regolarità della natura e le caratteristiche delle scienze evolutive.

La regolarità della natura è quel principio che ci permette di affermare che un esperimento scientifico ripetuto molte volte darà sempre lo stesso risultato – laddove un punto di vista radicalmente empirista imporrebbe che questo non sia necessariamente il caso. In altre parole è noto che se lanciato in aria un sasso poi ricade sempre verso terra (nel senso di: nessuno ha mai osservato il contrario), per cui ci sentiamo autorizzati a dire che questo avverrà sempre nello stesso modo. Abbiamo fiducia in questa regolarità nel corso del tempo.  

Le caratteristiche delle scienze evolutive mettono in discussione, anzi negano di principio, la possibilità di ripetere esperimenti in condizioni controllate. Non è possibile studiare una stella in laboratorio, come non è possibile riprodurre in laboratorio l’evoluzione dell’Universo. O riprodurre con un esperimento controllato l’evoluzione delle specie viventi sulla Terra.  

Chiamiamo riduzionismo una attitudine, una scelta. E’ una scelta discutibile, ma che ha avuto le sue ragioni. Riduzionismo è l’idea che la comprensione di un qualsiasi sistema passi necessariamente attraverso la comprensione delle sue parti più piccole – in ultima analisi dei suoi costituenti elementari. E coerentemente l’idea che dalla comprensione delle leggi che regolano i componenti elementari segue la comprensione del sistema nella sua totalità. Di solito questo approccio è anche associato all’idea di un determinismo molto forte. Laplace ne parlava proprio in questi termini: datemi la conoscenza del movimento di tutti gli atomi all’inizio del cosmo e sarà possibile prevedere il comportamento futuro di tutto.

Al di là del fatto che la sola meccanica quantistica renderebbe irrealizzabile il “sogno di Laplace” (così si chiama la metafora di cui sopra), la critica importante alla visione riduzionistica ha a che fare con dubbio che alle scale più “grandi” entrino in funzione nuove dinamiche. Non comprese nelle scale precedenti.

Cosa dobbiamo fare del riduzionismo, quindi? Semplicemente, considerarlo una possibilità. Un atteggiamento che puo’ essere fruttuoso in svariati casi, ma che va considerato con prudenza: non abbiamo nessuna garanzia che siamo in grado di comprendere il comportamento di un cavallo semplicemente studiandone tutti gli atomi.  

Ma in fondo noi non abbiamo la necessità di dirimere in questa sede questo importante problema… perchè comunque sia, la scienza offre la possibilità di essere fondamentale indipendentemente dalla validità del teorema riduzionista. Perché la sua pretesa di essere fondamentale si basa su altro – e precisamente si basa sul saper trattare spazio e tempo nelle condizioni più estreme. Dalle scale dell’infinitamente grande a quelle dell’infinitamente piccolo. E dall’inizio del tempo ad oggi, con tanto di predizioni per il futuro. E spazio e tempo sono le intuizioni pure per mezzo delle quali organizziamo l’esperienza sensibile. Ed è questo, in ultima analisi, il motivo per cui qui parliamo spesso di teoria quantistica. O di relatività generale.

Nell’Omega attuale sono infatti teoria quantistica dei campi e la relatività generale a fornire un paradigma di interpretazione dell’intero Universo. Dal primo secondo fino al conteggio di 14 miliardi di anni. E tengono in equilibrio l’infinito. Nel senso di grande e nel senso di piccolo. Rispetto all’uomo. Per quanto certamente (sia chiaro!) non è solo con la scienza che si conosce e si apprezza il mondo (e l’uomo!), e per quanto la visione abbia i suoi limiti, essa ha la grandiosa potenza della filo-sofia. Dell’amore per la conoscenza che mosse Talete di Mileto nel VI secolo a.C.  

La cosmologia basata sulla relatività generale segnala la probabilità di un universo infinito avviato da un principio all’inizio del tempo. E descrive l’evoluzione dell’essere nel suo aspetto materiale – quindi parliamo di un piano specifico, ma importante, dell’essere. Essa ci fornisce una storia, la storia di tutte le storie.

Ed assieme all’infinito, la scienza ripropone l’indefinito. L’indefinito primordiale, indefinito di opposti che come tali si manifestano e si riassorbono – non solo fluttuazioni particella-antiparticella nella massa cosmica primordiale. Ma anche indefiniti come sostanza e forma. La sostanza dei campi quantistici e delle particelle fondamentali che, nel corso della evoluzione cosmica (guidata da una energia) si formano. Una forma che si cala in una sostanza, una teoria quantistica di campi che ci mostra come una forma abbia organizzato l’indefinito di una sostanza.  

Fig. 3 Riduzionismo in una immagine

Nell’approccio riduzionistico ogni livello del divenire si intende basato sul livello costituente (più fondamentale).

La Storia di tutte le Storie

E’ quella rappresentata in fig. 4. L’inizio dell’Universo da uno stato di alta densità ed energia prende il nome di modello del Big Bang. Un modello caratterizzato da una miscela di elementi fondamentali primordiali, le particelle elementari. Queste particelle si aggregano tra di loro man mano che l’universo si espande. Questa è la chiave principale di evoluzione cosmica: una espansione dello spazio e del tempo.  Durante l’espansione dello spazio e del tempo i campi quantistici fondamentali si evolvono e si aggregano in particelle. Una particella, unità subatomica, va pensata proprio in questi termini: agglomerato di un campo, capacità di manifestazione dello stesso. Queste particelle nel corso dell’espansione cominciano ad aggregarsi, cominciano a formare i nuclei atomici (nei primi tre minuti di vita dell’Universo) e infine formano gli atomi, quando l’Universo ha una età di 400 mila anni.

Il momento della formazione degli atomi avviene quando l’Universo era 1000 volte più piccolo di quanto non lo sia ora… e questa affermazione potrebbe far pensare ad un universo di dimensioni finite. Ma il punto è – ed è un punto decisivo – che il fatto che l’Universo sia finito o infinito è ancora in bilico. Ed è questo uno dei maggiori indefiniti della Cosmologia moderna. Se ad esempio l’Universo fosse infinito (come è probabile) potrebbe tranquillamente essere stato 1000 volte più “piccolo” di adesso ed essere ancora infinito.  

Ma cosa vuole dire essere “piccolo”, allora, per un universo forse infinito. Prendiamo la distanza tra due oggetti A e B qualsiasi nell’Universo. E vediamo come varia nel tempo… ecco quando l’Universo aveva 400 mila anni di vita la distanza tra A e B era di un metro (poniamo). Ora che l’Universo ha 14 miliardi di anni, questa distanza è diventata di 1 kilometro. Questa definizione di distanza (di “piccolo” o “grande”) vale sia per un universo infinito che per un universo finito.

La storia più lunga di tutte ha visto la formazione delle stelle quando l’Universo aveva un miliardo di anni circa. E poi la formazione delle galassie, le città di stelle. Infine, quando l’Universo aveva quasi 10 miliardi di vita, è nato il sistema solare. 

Fig. 4 La storia di tutte le storie

La Storia di tutte le Storie del piano materiale dell'Essere

Gocce di Evoluzione

Concentriamoci per un momento sul nostro pianeta, su questa piccola goccia di roccia in un Universo la cui vastità è difficile apprezzare. Pensiamo alla vita, alla sua (incerta) origine su questo pianeta – e pensiamo alla sua plasticità. Pensiamo alla grande visione aperta dall’evoluzione Darwiniana: le specie come struttura plastica, evolutiva e modificabile.  

Una unica teoria in grado di spiegare la presenza dei fossili, le mutazioni e le trasformazioni; una potente suggestione di unità. L’unità dell’uomo con i viventi. E nel secolo successivo la stessa scoperta del DNA avrebbe fornito un meccanismo molecolare possibile a sostegno dell’evoluzione. Un principio indefinito che è stato avvicinato. Ma quale è il senso profondo dell’idea che la genetica spinge le popolazioni a mutazioni casuali per poi esercitare una certa selezione?  

Ancora una volta ci troviamo di fronte al grande principio di unità: i viventi sono tutti parenti prossimi. E se questo fu (ed è) soggetto ad un certo tipo di critica di stampo teologico, è giusto ricordare quanto i confini del sacro siano discutibili. I primi critici di Darwin non amavano il concetto di prossimità tra il “regno animale” e chi fosse stato fatto “a immagine e somiglianza di Dio”. Ma chi siamo noi per delineare i confini di ciò che è sacro? E se il principio del sacro si estendesse a tutto? Chi siamo noi per negare, eventualmente, addirittura un panteismo totale? Se tutto l’Universo non fosse altro che un immenso Sacrificio Vedico?

Il confronto col Cielo

Confrontarsi col Cosmo è parte dell’essere umani. E costante della storia e della conoscenza.  

Da un lato il Cielo come la casa dell’infinito, come sorgente di vita – la luce del Sole – ma anche di morte. Le tempeste, il fulmine. Il Cielo come luogo dell’agire degli Dei e delle energie cosmiche. Luogo di metafore, di bighe alate, e luogo astrologico e propiziatorio. Luogo della divinazione e delle tradizioni astro-mitologiche medio-orientali. Luogo della terribile emozione del Sole Nero, l’eclisse totale.  

Al Sole, al Cielo l’uomo ha porto anche sacrifici umani, nell’espressione più tremenda della mitilogia divinizzante. Eppure anche, nell’epoca dei Greci, il Cosmo fu suggestione di grande ordine. E “ordine” è proprio la traduzione greca di “cosmo”, l’ordine a cui si riferirono i Pitagorici, l’ordine di Filolao, il primo a ipotizzare un modello cosmologico. L’ordine di Aristarco, il primo ad ipotizzare un modello di tipo elio-centrico.  

Il confronto col Cielo ha trascinato dietro di sé la scienza, che nasce con l’uscita del Cielo dalla metafisica. Con Galileo – il primo a dimostrare che il cielo non è iper-uranio metafisico, ma che invece diviene. Le macchie solari, le ombre delle montagne sulla Luna, il moto dei satelliti di Giove… Galileo dimostrò che il Cielo era soggetto alla corruzione del divenire. Galileo, che morì nel 1642, anno di nascita di Newton. L’uomo che dimostrò che cielo e terra sono soggetti alle stesse leggi fisiche.

E di nuovo il Cielo, sempre il cielo, marchio della conoscenza umana, dal Paradiso dantesco alla dimostrazione della Relatività Generale nel 1919. Ottenuta grazie al cielo, grazie all’eclise totale di Sole. Grazie al Sole Nero. 

Fig. 5. Eclisse totale di sole

Nell'Eclisse totale di Sole...

Infinito e Indefinito

Dall’infinito del Cielo all’infinitamente piccolo ritroviamo ancora una volta il tema dell’indefinito. Perché molte delle dinamiche dell’Universo su scale immense hanno a che fare proprio con le proprietà del piccolo. Di cioè che è piccolo in maniera incommensurabile.

A-tomos voleva dire “indivisibile” per Democrito. Egli ipotizzò gli atomi per fermare il procedimento razionale di divisione dell’estensione spaziale ipotizzato da Zenone. L’eleatico, allievo di Parmenide, intendeva mostrare la natura illusoria della molteplicità dell’essere. Secondo Zenone una estensione spaziale poteva essere ridotta “a nulla” mediante un processo di divisioni successive… dividendo e dividendo e dividendo si giungeva a nulla. Quindi, egli immaginava, l’estenzione spaziale è illusione, doxa, opinione. In contrasto con la ragione.

Ma introducendo un mattone indivisibile, un a-tomos, questo processo di arresta. Non si puo’ suddividere al di sotto dell’atomo e grazie ad esso Democrito potè difendere la realtà del molteplice.  

Nel 1915, più di duemila anni dopo, Rutherford dimostrava che l’atomo era una struttura composta, con un nucleo al centro ed elettroni “in orbita” attorno ad esso. E ben prima che fosse dato un nome a tutti i componenti di nucleo e atomo (ovvero, con la scoperta del neutrone, nel 1932) una nuova scienza era nata. Si trattava della nuova e affascinante teoria dell’infinitamente piccolo. La Fisica Quantistica. 

Nel 1900 muore Nietzsche, maestro del sospetto e grande distruttore di certezze metafisiche. E nello stesso anno Max Planck compie quello che lui stesso avrebbe chiamato un “atto disperazione”: introduce il principio fisico di quantizzazione allo scopo di comprendere il comportamento di radiazione confinata in una cavità. Questa idea, una volta nata, sarà presa e sviluppata, e diventerà la base per la comprensione del mondo atomico e subatomico. Nucleare e subnucleare.

Oggi la fisica quantistica è una “meta-teoria”, ovvero non una teoria, ma un modo per fare teorie. E’ il linguaggio con il quale ci avviciniamo all’infinitamente piccolo. 

E nell’avvicinarci a questo aspetto fondamentale della realtà fisica, incontriamo una indeterminazione, un indefinito. Incontriamo l’impossibilità di conoscere al tempo stesso posizione e velocità di un elettrone. Quindi impossibilità di definirne la traiettoria.  

Indefinito del Principio di Indeterminazione microscopico. Indefinito dell’incertezza quantistica, barriera epistemologica invalicabile di principio. Il Principio di Indeterminazione, con le sue interpretazioni, indicatore di incertezza. Ed al tempo stesso, indicatore di unità, di non-separazione di soggetto e di oggetto.

L’ardire della teoria quantistica dei campi, la migliore teoria fisica che abbiamo. Una visione capace di conciliare Meccanica Quantistica e Relatività Speciale, una visione capace di raggiungere la precisione mai raggiunta tra “sensate esperienze” e “necessarie dimostrazioni”: una parte su un millesimo di un miliardesimo. E questo incredibile risultato infinitesimo si raggiunge manipolando un infinito. Si tratta del processo noto come Rinormalizzazione nelle teorie quantistiche di campo: esso è uso di sottrazione di infinito per il calcolo di proprietà definite. L’infinito viene usato e manipolato per rimuovere ciò che sarebbe indefinito. 

E l’infinito viene usato e manipolato per comprendere ciò che avviene nell’infinitamente piccolo. Un infinito che rimuove un indefinito. 

Indefinito del numero tre. E simbolo.

Dall’indefinito del Caos all’infinito del Cosmo. L’organizzazione di materia in forma avviene per mezzo di una organizzazione presieduta da tre numeri. La costante di gravitazione universale, la velocità della luce e la costante di Planck. Tre numeri come a evidenziare tre simboli di ciò che è. Tre come nella tradizione Pitagorica, e come nel monoteismo Cristiano.  

Ma tutta la conoscenza scientifico-matematico non è forse simbolo? Simbolo come significante, simbolo come rimando a un significato. E non è forse questo, il simbolo, un ponte tra la matematica e la mistica? La matematica col suo simbolo di infinito e la mistica con i suoi simboli di indefinito?  

E la storia dell’uomo non è forse storia di questo equilibrio? Forse che gli antichi Vedici non avevano già scoperto il Teorema di Pitagora? Naturalmente il tutto dovuto alla necessità di mattonare correttamente un altare. L’Altare del Sacrificio.

Così il simbolo, dalle mitologie alle cosmologie, dalla mistica alla matematica percorre la storia della conoscenza umana. E percorre la vita dell’uomo, e ne caratterizza la morte. Con i suoi rituali e cono i suoi simboli.

Indefinito e verità

E l’indefinito della conoscenza meglio definita di tutte, l’indefinito intuito da Platone nei suoi ultimi dialoghi: la logica matematica con i suoi teoremi di incompletezza. Il concetto di verità, base del senso della Filosofia Teoretica, viene a scindersi in dimostrabilità, completezza, decidibilità. Diviene indefinito. La scienza fornisce spiegazioni profonde. Ma, al tempo stesso, è afflitta da incertezze di principio.  

L’intero progetto epistemico, l’idea di avere trovato una conoscenza necessarie e incontrovertibile, viene a vacillare con l’incertezza quantistica e con l’incompletezza matematica. Ci si riporta così dal necessario e incontrovertibile delle ambizioni della antica Atene alla riapertura di problemi fondamentali di conoscenza. Da parte di scienze che abbiamo spesso chiamato esatte.  

Abbiamo detto della splendida sintesi di infinito e di indefinito suggerita dalla fisica. E altrettanto grande è quella suggerita dalla matematica. Dagli studi su cosa sia realmente l’infinito.

In matematica, dai tempi di Cantor, si tratta del concetto di infinito, e dei vari gradi dello stesso. Si vede come il solo intervallo tra 0 e 1 – se pensato come composto da numeri reali – ne contenga un numero infinito. Ma infinito di un grado particolare, un infinito che non si puo’ nemmeno contare. Un infinito che non è numerabile. Un infinito che possiede la potenza del continuo. Al tempo stesso infinito e indefinito. 

Il Paesaggio dell'Inconscio

L’apertura del mondo dell’inconscio in Occidente nasce con la psicanalisi moderna di Freud, Jung e delle altre scuole. Vengono proposti modelli e teorie che nascono dall’esperienza della medicina e che aprono orizzonti del tutto rivoluzionari: la scoperta di un intero mondo interiore, che viene studiato con metodi scientifici, permette all’uomo occidentale di volgere lo sguardo all’interno di sé indipendentemente dagli approcci tradizionali di religione e mito. L’essere di questo spazio, evidente dai suoi effetti, non è soggetto ai normali vincoli materiali: supera lo spazio e il tempo per collocarsi in una dimensione nuova.  

Si viene così a formare un importante concetto della dinamica umana, quello di individuazione. Individuazione come equilibrio tra il conscio e l’inconscio. Individuazione quando il viaggio più grande, quello interiore, ci porta a capire ciò che siamo – come uomini – realmente. Ci apre una dimensione dell’essere che prima non conoscevamo. O che conoscevamo con altri metodi, con i metodi della religione e del mito.

In modo ancora più radicale, se si parla di inconscio collettivo, esso va potenzialmente a collocarsi tra l’umanità passata, quella presente e quella futura. Un tessuto connettivo di ricchezza straordinaria, non soggetto ai vincoli spaziotemporali e che percorre l’essenza dell’essere in tutte le sue direzioni. Ci da l’idea di una dimensione ontologica che non ha confini. Né di spazio, né di tempo, né di altro tipo.

O forse, semplicemente, è che questi confini noi non conosciamo. Sono indefiniti.

Il recupero della Mitologia

L’apertura dello spazio dell’inconscio permette anche il recupero, su un piano profondo, della Mitologia. Di quella arte dell’essere che è rappresentazione simbolica di energie universali. Fu Campbell tra i primi a notare la generalità dei simboli dell’umanità primitiva. A notare quanto parallele fossero le culture dell’Indonesia e del mondo nordico. Delle isole del Pacifico e della Persia. A notare che la Mitologia sembrava la stessa commedia (o tragedia!) interpretata con costumi diversi a seconda del luogo.  

Ed è proprio attraverso la vastità della sua rappresentazione simbolica che la Mitologia si è imposta come anelito dello spirito, come ricerca di soprannaturale e come produzione di archetipi. Si è imposta in tutte le culture a tutte le latitudini e con quasi le stesse identiche modalità espressive. Perché in fondo, queste sono semplicemente le modalità dell’essere uomini. In carne e in spirito.

In parte rimossa e dimenticata dalla nascita della Filosofia – emarginata dalla scelta apollinea della filosofia dei Greci – la Mitologia viene ora recuperata proprio dalla Scienza dell’Inconscio. Che attinge a piene mani ai simboli ed alle rappresentazioni primeve e profonde. Che scopre (e riscopre) la ricchezza archetipale dei simboli mitologici. Vista con le moderne lenti del mondo dell’inconscio, la Mitologia (anche nei suoi aspetti teologici) viene recuperata ad esempio con l’opera di Hillmann che costruisce una intera scienza della Psiche a partire dalle rappresentazioni della Divinità della Grecia antica. In una certa misura si tratta proprio del recupero del dionisiaco, di andare a curare quella frattura nella cultura di cui lamentava Nietzsche.

 

La Simmetria

La classificazione di infinito e indefinito, il loro rapporto col finito e col definito, passano attraverso concetti nuovi anche nella scienza. Che è dimostrazione di grande unificazione, di unità del tutto.  

Spazio e tempo vengono unificati nelle teorie di Relatività Speciale. E lo spaziotempo diventa geometria viva, sorgente di campo gravitazionale in Relatività Generale. La geometria entra di prepotenza nella fisica fondamentale, e va a costituire la teoria gravitazionale su grande scala dell’Universo. Basata sul principio di equivalenza (tra massa inerziale e massa gravitazionale).

E così vi entra il concetto di simmetria, correlando – grazie al Teorema di Emmy Noether – simmetria di una teoria con quantità fisiche. Il ruolo dinamico della simmetria matematica, della geometria. Questa è una delle novità epistemologiche di maggiore importanza nella fisica moderna. Ed a questo punto forse non sembrerà sorprendente che le due maggiori teorie quantistiche moderne, quella Nucleare Forte e quella Elettrodebole siano governate da un importante principio di simmetria, il principio di gauge.  

Ex Oriente Lux

L’evento mitico indefinito dell’arrivo degli Arya nella Valle dell’Indo ha generato la visione Vedica del mondo e di noi. La visione infinita del Tutto, dissoluzione del Progenitore che crea il cosmo al suono della Prima Sillaba. L’Om. Una visione che mostra tratti sensibilmente diversi dall’apollineo occidentale – in apparenza una visione rivale ed opposta. Ma questa opposizione è in buona parte apparente – appare più come un complemento che come una negazione. Prima di tutto per le evidenti analogie con gli aspetti del mistico comunque presenti in occidente. Ma non solo. Anche per una serie di analogie sorprendenti proprio con gli aspetti più razionali e scientifici del pensiero occidentale.

Il progenitore, il Macrantropo Prajapati, appare infatti straordinariamente analogo alla dissoluzione del campo inflatonico che dà ragione del Big Bang cosmologico. Dalla sua decomposizione nasce l’Espansione e dal suo soma nascono i quark e i leptoni – i mattoni costituenti dell’Universo. L’indefinito aperto dalla visione dei Rishi, visione Vedica con i suoi rituali e con resti di Harappa e Moenjo-Daro. costituisce la visione sacrale del Tutto. Vista dai Rishi, la cultura Vedica si manifesta primariamente nel concetto di Sacrificio di cui abbiamo parlato.  

Abbiamo detto che il Sacrificio è un potente mezzo rituale e cosmico per ricomporre la frattura che dall’Uno ha generato il molteplice. Frattura analoga a quella che, in un Universo raffreddato dall’espansione cosmologica, ha dato luogo alla rottura di simmetria tra l’interazione Nucleare Forte e quella Elettrodebole. E tutte le altre rotture di campo unificato della fisica fondamentale dei primi istanti dell’Universo.

E’ una filosofia di tipo Advaita quella che sembra emergerne. Non-duale, non di contrapposizione ma di analogia e di complementazione. Giocata tra Oriente ed Occidente al ritmo di Eterni Principi. 

Il ritorno degli Eterni Principi

E’ quindi nel momento di maggiore successo del razionale nella storia “moderna” che l’inconscio fa il suo ritorno esplicito. E apre la strada di un mondo nel quale spazio e tempo (come li abbiamo concepiti con la ragione) non sono sufficienti a comprendere tutto lo spazio concettuale del mondo. Eppure questo è un mondo nostro. Nostro come forse nessun’altro, il mondo di ciò che siamo nell’essenza. Ed allo stesso modo il recupero e lo studio della mitologia – da Campbell in poi - mostra la profondità e l’unicità della identità umana. Ci mostra che le nostre equazioni differenziali sono movimenti dell’animo e rituali dello spirito. Ci mostrano che recitare il Padre Nostro o la Tavola Pitagorica – da punti di vista diversi – sono la stessa cosa. Sono forme profonde dell’umano.

Gli Eterni Principi che hanno permesso l’organizzazione della conoscenza guidata dalla ragione, mostrano anche la nuova strada attraverso l’indefinito e l’infinito della psiche, del simbolo, dell’immaginario. Della magia. Attraverso questi infiniti ed indefiniti si incanalano energie interiori e cosmiche. Così come gli eterni principi hanno forgiato le filosofie e le conoscenze… ora risuonano anche dell’eco dell’irrazionale, del mistico.  

Essi, gli Eterni Principi, sono ritornati. Anzi, non ci hanno mai abbandonato. Perché forse questi Eterni Principi sono l’essenza di ciò che siamo. O l’essenza di ciò che è.  

Epilogo

(Qui lo si deve ancora scrivere)

(Qui dobbiamo scrivere sull’ultima rivoluzione copernicana: quella della risposta.)

Riferimenti bibliografici

1)   E.P. Sanders, The historical Jesus, Penguin Books.

2)   M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, 2005.

3)   Kant

4)   R. Calasso, Ardore, Adelphi

5)   G. Parrinder , Le Upanishad, la Gita e la Bibbia, Ubaldini Ed.1964.